lunedì 20 agosto 2007

RICONOSCERE IN OGNI ALTRA PERSONA UN'ALTRO SE STESSO

Come si può riconoscere in ogni altra persona un'altro se stesso? Solo penetrando il suo orizzonte cioè sapendo ascoltare, comprendere la sofferenza altrui, rispettare il prossimo, essere accoglienti fino alla capacità di prendere in cura e amare l’altro. L’altro è però diverso e può talvolta anche avere degli handicap o dei deficit che ci disgustano.
La "diversità" è quindi vista in chiave negativa, come "minaccia" della propria identità e per questo la presenza del "diverso" frequentemente genera sentimenti di paura, ansia, sospetto.
Se si riuscisse invece a percepire la "differenza" non come un limite alla comunicazione, ma come un "valore", una "risorsa", un "diritto", l'incontro con l'altro potrebbe essere in certi casi anche scontro, ma non sarebbe mai discriminazione. E l'educazione diventerebbe scoperta e affermazione della propria identità e, contemporaneamente, valorizzazione delle differenze.
Invece è il pregiudizio, inteso proprio come giudizio superficiale non avvallato da fatti, ma da opinioni, il motore che a volte muove le azioni e i comportamenti di tutti noi, condiziona le nostre relazioni sociali, ostacolando a volte le opportunità di contatto, incontro, esplorazione, scoperta che sono i fondamenti dei rapporto con l'altro da sé.
Ma il pregiudizio non è innato, ha piuttosto il suo fondamento nelle influenze familiari, ambientali, sociali, e si struttura già dalla prima infanzia. Pertanto, se crediamo sia giusto cercare di limitare il più possibile l'insorgere di pregiudizi, è fondamentale intervenire a livello scolastico, educativo, familiare per fare della diversità una vera ricchezza, un nuovo paradigma educativo e per stimolare i bambini e i ragazzi a pensare criticamente piuttosto che dir loro quello che devono pensare. In quest'ottica uno dei compiti della scuola dovrebbe essere quello di educare alla differenza, all'altro, al diverso, per creare i presupposti di una cultura dell'accoglienza e per impedire l'omogeneizzazione culturale.
Tuttavia una vera pedagogia della differenza si esprime non certo in prediche e indottrinamenti, né con tecniche di persuasione più o meno sofisticate, ma anzitutto sperimentando quotidianamente la realtà di una scuola come una "comunità di diversi", che non emargina chi non è "uguale" o chi non è in grado di seguire il ritmo dei migliori.
E' chiaro che, perché tutto ciò avvenga, è necessario porre come elementi centrali della relazione educativa l'ascolto, il dialogo, la ricerca comune e l'utilizzo di metodologie attive e di tecniche d'animazione in grado di sviluppare le capacità critiche di porsi delle domande, di imparare a mettersi nei panni altrui, di attivare delle reti di discussione, di uscire dagli schemi, di essere creativi e divergenti.