venerdì 31 agosto 2007
ERRORI COGNITIVI CHE OSTACOLANO L’ASCOLTO E FAVORISCONO IL PREGIUDIZIO
| Arginare i pregiudizi è fondamentale per entrare in una relazione autentica con l’altro. Un passo importante a tal fine è riconoscere la fonte o le fonti del pregiudizio. Una di queste si può identificare con la tendenza ad operare distorsioni cognitive sulla realtà che viviamo, come ha messo in evidenza l’approccio cognitivo della psicologia. Gli “errori cognitivi” o “bias” o “tunnel della mente” (Piattelli Palmarini) sono “le scorciatoie mentali che in determinate situazioni, ciascuno di noi adotta spontaneamente” e sono “simili a tanti filtri distorcenti usati per guardare una data situazione, con noi inconsapevoli di quanto stiamo facendo, a prescindere dal nostro grado di cultura”. Anche le nostre passate esperienze affettive ci portano a distorcere la realtà in modo inconsapevole. Gli errori cognitivi più ricorrenti, quali le scelte incorniciate, la pigrizia mentale, l’effetto congiunzione, la disattenzione per le frequenze di base, il rapporto asimmetrico tra causa ed effetto, la confusione fra cause e probabilità, l’effetto certezza, la prudenza irrazionale, pregiudicano un buon rapporto con l’altro soprattutto se si tratta di una relazione educativa. Ma a questi se ne aggiungono altri che fortemente influenzano le nostre relazioni interpersonali. Si propone un elenco delle distorsioni cognitive più frequenti e diffuse, affiancate da una breve descrizione, con l’invito a riconoscere quelle che più caratterizzano il nostro modo di entrare in rapporto con l'altro. La lettura del pensiero. Consiste nell'attribuzione all'altro di pensieri, sentimenti ed emozioni ipotizzati e vissuti come veri. La tendenza all'ipotesi porta a non mettere in pratica l’ascolto attivo, ma a fidarsi più di intuizioni personali, sensazioni vaghe, influenze di stati emotivi non riconosciuti e lascia liberamente in circolo l’azione delle proiezioni. Lo svolgimento anticipatorio. Consiste nell'anticipare mentalmente la conversazione prevedendone le fasi, i passaggi, le dinamiche, gli scambi verbali. Questo procedimento finisce per funzionare come una profezia che si autoavvera e imprigiona l’interlocutore nei vincoli da lui stesso predisposti, inficiando le potenzialità di ascolto attivo. La centratura esclusiva sul bisogno personale. Questa tendenza nel dialogo, nel migliore dei casi, porta l’individuo alla simulazione, a far finta di essere interessato all'altro, mentre in realtà sta seguendo esclusivamente le traiettorie dei suoi pensieri e delle sue necessità. E’ il caso in cui abbiamo bisogno di esprimere il nostro punto di vista, la nostra opinione e siamo centrati soltanto su ciò che vogliamo dire, su come vogliamo argomentarlo, ripetendoci tra noi e noi i punti salienti, da non scordare, fino al punto che non ci sarà spazio per ascoltare quello che l’altro sta dicendo, ma si potrà solo fingere di farlo. Il filtro selettivo. E’ la tendenza a filtrare le informazioni, recependo solo alcune tra quelle presenti nella comunicazione e non altre. Questo atteggiamento permette di non alterare lo schema a cui siamo abituati (ad esempio, chi ha la tendenza al filtro negativo tende a escludere dalla sua visuale ogni elemento positivo, oppure usa il filtro per non mettere in dubbio eventuali stereotipi) o di evitare l’ascolto di elementi che risultano per noi pericolosi, spiacevoli, critici, oppure di ascoltare solo ciò che ci interessa e concentrarsi poi su altri aspetti mentre l’altro parla. La lontananza immaginativa. Direttamente collegata con l’atteggiamento precedente, la lontananza immaginativa implica l’uso dell'immaginazione in termini non di coinvolgimento analogico (cfr. fantasie) e partecipato, ma di rifugio in una dimensione fantastica, innescata magari da un elemento del discorso del nostro interlocutore, nella quale indulgiamo e ci lasciamo portare, perdendo completamente di vista la comunicazione e il rapporto con l’altro, che nel frattempo sta continuando a parlare e ad esprimersi e a cui non accordiamo certo molta importanza o peso. La confutazione sistematica. E’ la tendenza a opporsi per principio, esprimendo disaccordo e opinioni contrarie. Implica rigidità, difficoltà nella condivisione empatica, desiderio di affermazione e talvolta forti insicurezze. Varianti possono essere il sarcasmo e la tendenza all'umiliazione dell'altro. In alcuni casi si può sconfinare nella ricerca esasperata della ragione, con relative convinzioni indistruttibili e faticosi percorsi di dimostrazione. L'ancoraggio e la difesa del ruolo. Consiste nell'impedirsi di essere se stessi per vari timori, ancorandosi agli aspetti esteriori e stereotipati dell'interazione, nel non entrare in gioco personalmente, ma solo attraverso lo status rassicurante del ruolo rivestito. La conciliazione aprioristica. E la tendenza a voler piacere a tutti i costi; per questo si sceglie di conciliare, di essere gentili e cordiali in maniera stereotipata, senza essere veramente interessati e presenti all'ascolto dell'altro, ma proponendo soltanto formule abituali e usuali di disponibilità. L'allontanamento. Frequentemente si manifesta cambiando argomento e serve per allontanare ciò che ci sta mettendo a disagio, oppure ci sta annoiando; in alcuni casi anche il ricorso allo scherzo e alle battute può essere funzionale a una presa di distanza. Questa tendenza impedisce l’ascolto dell'altro perché non siamo in grado di ascoltare noi stessi su determinate tematiche. Il mascheramento. Con questa modalità si tende a inibire le proprie sensazioni e a manipolarle in modo che non traspariscano all'esterno. E’ un procedimento opposto all'autenticità. Appare spesso collegato a fenomeni di allontanamento e ostacola in ogni caso la comunicazione; nel caso sia inconsapevole non consente l’ascolto di sé, nel caso sia un procedimento consapevole altera l’autenticità dell'incontro comunicativo e probabilmente indurrà nell'altro posizioni difensive. L'ipergeneralizzazione. E’ la tendenza a ragionare in termini assolutistici, mediante pronomi o avverbi come ad esempio "tutti", "nessuno", "sempre", "mai", che rivelano un'interpretazione del mondo arbitraria e rigida. Nell'ascolto simili modalità portano soltanto difficoltà e pesantezza, coniugate con impossibilità di cogliere sfumature e articolazioni. L'influenza di idee preconcette (pensiero automatico). E’ la distorsione delle parole dell'altro in funzione di convinzioni aprioristiche stratificate, che automaticamente si mettono in moto per alterare la percezione della comunicazione. Rientrano in questa categoria i pensieri automatici disfunzionali, come ad esempio certe convinzioni errate su noi stessi e la realtà, ciò che gli altri possono provare nei nostri confronti, certi convincimenti alterati, partendo dai quali non possiamo che realizzare un ascolto inesatto, limitato e inefficace. L’uso delle etichette. Prevede l’abitudine a etichettare preventivamente per semplificare e inquadrare, limitando in realtà la possibilità di ascolto e di comprensione. Risulta connesso con la generalizzazione eccessiva. La tendenza alla distrazione (concentrazione ridotta). Porta l’ascoltatore a utilizzare soltanto in una minima parte le sue potenzialità di ascolto, con ricadute dirette sulla qualità dell'ascolto realizzato. Inoltre, poiché la distrazione viene percepita anche dall'interlocutore, il pensiero che più frequentemente genera nell’altro è la sensazione di essere poco interessante, con relativi vissuti negativi e interferenze nella comunicazione stessa. La distrazione è spesso legata ad una concentrazione ridotta. Il confronto. E’ la tendenza a parametrare con noi stessi tutto quello che l’altro dice o rappresenta, istituendo una perenne valutazione di confronto che ci allontana dall’altro in quanto tale e lo rende soltanto il parametro delle nostre conferme o disconferme. Gran parte dell’energia è diretta a verificare che siamo almeno in una posizione paritaria e il nostro impegno è assorbito dalla rassicurazione personale e lontanissimo dall’ascolto attivo e partecipato. Il delirio di onnipotenza. E’ la mancata considerazione dei vincoli situazionali e congiunturali, che si accompagna a una fiducia sproporzionata nelle proprie abilità di ascolto. In relazione a condizioni fisiche di scarsa efficienza (per stanchezza, malattia ecc.), in situazioni non idonee (per rumori, disturbi continui, luoghi inadatti ecc.), l’ascoltatore deve essere consapevole dei limiti che queste condizioni pongono. Il disinteresse. E’ uno dei rischi più insidiosi nell’ascolto, perché compromette sistematicamente anche la prova tecnicamente più attenta. La mancanza di interesse è un ostacolo con cui confrontarsi onestamente nelle pratiche di ascolto attivo. La direttività. Avere ben chiaro dove è importante condurre l’altro, attraverso quali strade e percorsi, e sapere con certezza quello che deve fare è una modalità che sottolinea l’asimmetria della comunicazione e impedisce all'altro di essere ciò che pienamente è e di esprimerlo, concedendogli soltanto la possibilità di conformarsi a ciò che abbiamo stabilito per lui o, al contrario, condannandolo a una condizione di relativa non accettazione nel caso si discosti dai nostri progetti. L'identificazione. Si tratta della tendenza per cui non è possibile interessarsi realmente all'altro, in quanto ci serve soltanto per fornirci l’occasione di identificarsi in lui. E così che anche le sue parole e la sua comunicazione sono utilizzate per questo scopo, più o meno consapevole. Lo spostamento. Consiste in uno sbocco alternativo del pensiero e dell'emozione, che priva la comunicazione della sua istanza reale e autentica e la connota soltanto in termini di manipolazione e alterazione. I pensieri disfunzionali. Mentre si sta realizzando l’ascolto dell'altro, operazione che richiede tranquillità e fiducia in se stessi, lo spazio concesso ai pensieri disfunzionali che minano la sicurezza e l’autostima, la convinzione di non riuscire nel compito, non può che risultare un grave ostacolo, poiché può generare “ansia da prestazione”. II pensiero dicotomico. Prevede L’inquadramento di eventi e persone in categorie dicotomiche, ad esempio bianco e nero. Risulta connesso con l’ipergeneralizzazione e l’uso di etichette. Una cosa o appare in un modo o è l’esatto contrario, non sono ammesse sfumature e gradazioni. Il pensiero binoculare. Consiste in una percezione della realtà che tende a sopravvalutare ciò che ci riguarda (siano pregi o difetti) e a minimizzare quegli stessi aspetti negli altri. In genere, si usa questa dizione quando si sopravvalutano i nostri difetti o errori mentre li si ridimensionano negli altri. |
PENSIERI VOLANTI 6
| "Non a colpi di clava né di pietra Si spezza il cuore; Una frusta invisibile Conobbi io, E staffilò la magica creaturaFino a che cadde." E. Dickinson “Poesie” |
PENSIERI VOLANTI 5
| "Altri hanno piantato ciò che mangiamo. Noi piantiamo ciò che altri mangeranno" (Antico proverbio persiano) |
PREGIUDIZIO E ASCOLTO
Non si può educare senza capacità di ascolto. I pregiudizi costituiscono un vero e proprio “handicap” nell’ascolto. Possiamo parlare di handicap del pregiudizio più che di pregiudizio nei confronti dell’handicap! La nostra cultura è fatta di gente che preferisce parlare piuttosto che ascoltare. Siamo pronti a dare consigli, “giudizi”, informazioni…. Ma la gente ha bisogno di “orecchie attente e di una lingua muta”, la gente ha bisogno di essere ascoltata e compresa. “Non ascoltare è mancanza di rispetto della persona e di un servizio di amore disinteressato”. Ma quale ascolto? Ci sembra di essere attenti e ci sembra di ascoltare, ma a volte “ascoltiamo per ascoltare”, ciò si verifica quando non siamo interessati alla persona e ai suoi bisogni, oppure quando siamo stanchi o siamo centrati su noi stessi, oppure “ascoltiamo per rispondere”, ed è ciò che noi facciamo continuamente. Ascoltiamo a metà ciò che l’altro dice perché siamo impegnati a pensare a come dobbiamo rispondere. Perché? Tutti noi abbiamo bisogno degli altri per definire noi stessi ma nello stesso tempo abbiamo paura che la definizione che gli altri ci rimandano possa disconfermare l’immagine che abbiamo di noi. Questa situazione generatrice di ansia induce la messa in atto di meccanismi di difesa nei confronti dell’altro, per cui nelle relazioni interpersonali tendiamo a selezionare solo le informazioni che non costituiscono una minaccia. Il pregiudizio caratterizza una persona che vive "per proteggere i propri sentimenti e la propria reputazione". Il falso concetto che si ha dell'altro non è che un difendere se stessi, ciò che si crede, che è diventato rifugio delle nostre insicurezze, paure e frustrazioni. Creare scompiglio nell'alveare (emozioni) altrui, con la denuncia di ciò che si presume che sia sbagliato o no, significa evitare di trovarsi nel proprio alveare scompigliati dal riaffiorare delle nostre paure e insicurezze. Anche a scuola, come in altri contesti, accade che i pregiudizi agiscano in senso contrario rispetto a quelli che sono gli obiettivi educativi. Spesso pensiamo che l’alunno “più di così non può fare” e questo preconcetto ha influenza sulla percezione che l’allievo ha di sé e si convince che è effettivamente un incapace e quindi non si adopera ai fini dell’apprendimento. I pensieri si riflettono sul nostro comportamento e sulla scelte delle parole che usiamo nelle nostre comunicazioni. Le persone hanno bisogno di sentirsi apprezzate, stimate, e l’ascolto è il mezzo più appropriato, se noi vogliamo trasmettere senso di sicurezza, dobbiamo ascoltare con empatia, soprattutto le persone che soffrono. Saper ascoltare è più difficile di quanto si creda. “Mamma, tu mi DEVI ascoltare, perché se non mi ascolti tu, quando sarò grande non mi ascolterà nessuno!” (Silvia, 7 anni, alla mamma) |
martedì 28 agosto 2007
Pensieri volanti 4
Un'idea giusta nella quale ci si insedia, al riparo delle contraddizioni, come al riparo dal vento e dalla pioggia, per guardare gli altri uomini scalpicciare nella melma, non è più un'idea giusta, è un pregiudizio. (Georges Bernanos)
link utile
Segnalo una pagina molto interessante dedicata alla tesi di laurea di Elda Billi, una ragazza di Arezzo, che ha pubblicato “Pregiudizio e Strategie Educative” in cui affronta il tema del pregiudizio nei confronti della diversità in generale e della disabilità in particolare.
Breve Bibliografia
Segnalo qualche titolo sul tema “pregiudizio e handicap”:
Elda Billi (2005) Pregiudizio e Strategie educative, Roma, Teseo
Cartelli G. (1993), Handicap, pregiudizi e stereotipi, Roma, Bulzoni.
Lascioli A. (2001), Handicap e pregiudizio. Le radici culturali, Milano, Angeli.
Mazzeo M., Vezzosi F., Della Bianca C. (1996), Il fantasma del pregiudizio, Il Corriere dei ciechi, 15.
Pigliacampo R. (1986), Pregiudizi sulla lingua dei segni, Vita dell'infanzia, 6
Pigliacampo R. (1994), Handicappati e pregiudizi. Assistenza, lavoro sessualità, Roma, Armando.
lunedì 20 agosto 2007
La "diversità" è quindi vista in chiave negativa, come "minaccia" della propria identità e per questo la presenza del "diverso" frequentemente genera sentimenti di paura, ansia, sospetto.
Se si riuscisse invece a percepire la "differenza" non come un limite alla comunicazione, ma come un "valore", una "risorsa", un "diritto", l'incontro con l'altro potrebbe essere in certi casi anche scontro, ma non sarebbe mai discriminazione. E l'educazione diventerebbe scoperta e affermazione della propria identità e, contemporaneamente, valorizzazione delle differenze.
Invece è il pregiudizio, inteso proprio come giudizio superficiale non avvallato da fatti, ma da opinioni, il motore che a volte muove le azioni e i comportamenti di tutti noi, condiziona le nostre relazioni sociali, ostacolando a volte le opportunità di contatto, incontro, esplorazione, scoperta che sono i fondamenti dei rapporto con l'altro da sé.
Ma il pregiudizio non è innato, ha piuttosto il suo fondamento nelle influenze familiari, ambientali, sociali, e si struttura già dalla prima infanzia. Pertanto, se crediamo sia giusto cercare di limitare il più possibile l'insorgere di pregiudizi, è fondamentale intervenire a livello scolastico, educativo, familiare per fare della diversità una vera ricchezza, un nuovo paradigma educativo e per stimolare i bambini e i ragazzi a pensare criticamente piuttosto che dir loro quello che devono pensare. In quest'ottica uno dei compiti della scuola dovrebbe essere quello di educare alla differenza, all'altro, al diverso, per creare i presupposti di una cultura dell'accoglienza e per impedire l'omogeneizzazione culturale.
Tuttavia una vera pedagogia della differenza si esprime non certo in prediche e indottrinamenti, né con tecniche di persuasione più o meno sofisticate, ma anzitutto sperimentando quotidianamente la realtà di una scuola come una "comunità di diversi", che non emargina chi non è "uguale" o chi non è in grado di seguire il ritmo dei migliori.
E' chiaro che, perché tutto ciò avvenga, è necessario porre come elementi centrali della relazione educativa l'ascolto, il dialogo, la ricerca comune e l'utilizzo di metodologie attive e di tecniche d'animazione in grado di sviluppare le capacità critiche di porsi delle domande, di imparare a mettersi nei panni altrui, di attivare delle reti di discussione, di uscire dagli schemi, di essere creativi e divergenti.
martedì 7 agosto 2007
Evoluzione del Pregiudizio
Sono cosciente di “toccare” una tematica complessa, non di facile soluzione, ma che ha tanto bisogno di vivaci apporti culturali e di spinte coraggiose provenienti soprattutto dai protagonisti. C’è, quindi, la necessità di “smascherare” una realtà dannosa, fatta passare per socializzante ma che forse non lo è. E per giungere a questo dobbiamo conoscere il Pre-giudizio delle persone che vivono nel mondo dei soggetti con bisogni speciali, e de-strutturare, per poi ristrutturare fino a formare un nuovo Giudizio ( positivo ).
Si deduce che la genesi del pre-giudizio del cosiddetto normale, nei confronti dell’handicappato, dipenda dalle seguenti motivazioni: a) Psicologiche, b) Culturali e d’Informazione.
a) Psicologiche, quando un individuo normale, che non sia riuscito a conseguire una meta gratificante nella società dei pari, finisce per credere o riporre nell’immagine del soggetto con bisogni speciali il fallimento della propria esistenza. L’handicappato diventa perciò lo specchio del fallimento del normale nella riflessione sull’handicap dell’handicappato, e, questo, con ancora più disonore perché, il suo “handicap” è la conseguenza delle proprie incapacità volitive o intellettuali; da qui il pre-giudizio negativo sul disabile che non è altro che il “ rifiuto” della propria persona. Tali forme di pregiudizio sono una continua fonte di frustrazione perché gli individui coinvolti sono di fronte a barriere psicologiche personali che ne ostacolano la realizzazione e sono in un continuum conflitto per cui, non potendo dirigersi verso l’agente di frustrazione ( famiglia, lavoro, partner, ecc ) vengono, i pregiudizi, “ spostati sui soggetti più deboli ( bambini, handicappati, anziani…) e da qui il giudizio negativo su di loro.
b) Culturali, nel senso che chi ha un pregiudizio crede in tutto cip che gli viene detto sui soggetti con bisogni speciali, soffermando l’attenzione soprattutto sugli aspetti negativi. I pregiudizi culturali si fondano sull’etichettazione degli individui. In questi ultimi anni si è tentato di modificare molti termini indicanti gli handicappati, giungendo ad un etichettazione, che non riguarda l’intera persona ma solo “la parte” lesa della persona.
c) Informazione, molte persone vivono a contatto con persone che hanno problemi fisici o sensoriali o psichici o mentali senza conoscerle, ripetendo gli errori di etichettazione, senza andare oltre. Andare oltre significa avere la pazienza di comunicare direttamente con i soggetti handicappati e, quando ciò non sarà possibile, con chi è portatore di valide esperienze di handicap attraverso la ricerca, gli studi e le vittorie conseguite. La persona ( qualsiasi persona ) deve essere conosciuta perché non sorga ostilità verso di essa.
L’handicap è un deficit fisico, psichico e sensoriale che spesso non può essere eliminato ne mitigato con la riabilitazione. Il pregiudizio dei cosiddetti normali sul soggetto con handicap può rientrare in un’ottica di educazione socio-sanitaria-speciale. Il pregiudizio, dunque, deve essere sradicato con la promozione di una cultura dell’handicap illuminanteche deve partire dalla scuola, con la risposta degli specialisti alle interrogazioni dei giovani e della gente sui problemi suscitati dai soggetti con bisogni speciali e con l’apporto delle esperienze del vissuto ( attraverso incontri , studi, seminari, ecc,ecc.) accanto allo svantaggiato.
Una società moderna, democratica e civile non deve permettersi di convivere con i giudizi deleteri nel terzo millennio Quando si parla di handicappati, si tende a generalizzare per renderlo meno invadente e problematico alla comunità dei normali. Cosicché si parla spesso del Docente di Sostegno, evitando di parlare della specificità dell’insegnante per lo specifico handicap.
Il pregiudizio porta a trattare e considerare i soggetti con bisogni speciali non come individui che sono con noi nella società, ma come entità oggettive esterne al loro esistere nel e del quotidiano. Infatti assistiamo ad una terminologia e fraseologia fondate sul distacco e la freddezza dei rapporti: :<< i portatori di handicap >>, << il mondo dell’handicappato >>, << le problematiche degli handicappati >>, << la realtà dell’handicappato >>, << la socializzazione dell’handicappato >>, e cos’ via. Chi si accanisce contro un soggetto con bisogni speciali, esternando i pregiudizi in esso presenti, non sarà in grado di discernere nemmeno nel proprio gruppo ciò che è valido o no?
Pensieri volanti 3
al mondo migliaia di volte
ma non abbiamo ancora avuto orecchi
per ascoltare più frammenti.
H.A.Overstreet
Pensieri volanti 2
Ma voler essere superiore all’altro.
( Arturo Paoli 1978 )
lunedì 6 agosto 2007
Pregiudizio & Differenza
I BAMBINI IMPARANO CIO' CHE VIVONO
impara a condannare.
Se vive nell’ostilità
Impara ad aggredire.
Se vive deriso,
Impara la timidezza.
Se vive vergognandosi,
impara a sentirsi colpevole.
Se vive trattato con tolleranza,
impara ad essere paziente.
Se vive nell’incoraggiamento,
impara la fiducia.
Se vive nell’approvazione,
impara ad apprezzare.
Se vive nella lealtà,
impara la giustizia.
Se vive con sicurezza,
impara ad aver fede.
Se vive volendosi bene,
impara a trovare
amore e amicizia nel mondo.
EDUCARE OLTRE IL PREGIUDIZIO
Ma cosa accade nel momento esatto in cui ci si viene a trovare a contatto sia Diretto che indiretto con soggetti che richiedono bisogni speciali? Quale il primo sintomo che si prova? La maggior parte delle persone ha risposto “ Blocco”. Si un blocco, ma questo blocco da cosa ha origine? La radice del blocco va estrapolata dal “Pregiudizio”. Il termine Pre-giudizio indica un giudizio anticipato: giudicare qualcosa o qualcuno prima del tempo, prima di conoscere bene la cosa o la persona. Il pregiudizio è un potere agito-subito. Chi lo agisce, lo subisce nei termini di una riduzione della possibilità di comprensione della realtà. La potenza del Pregiudizio sta proprio nel fatto di creare un limite attivo e passivo. Analizzare il Pregiudizio sta nella riflessione etica riguardante il “ dover essere” dell’Io, del tu e della realtà. Per quanto esista anche il pregiudizio favorevole, in genere, al massimo livello, si ha sempre la tendenza a considerare in modo ingiustificatamente negativo e sfavorevole le persone di una certo gruppo sociale. Allora la domanda nasce spontanea: quali prospettive per soggetti con bisogni speciali nel campo dell’educazione? La prospettiva è data dal punto di vista che l’osservatore ha della realtà; ed è da essa che assume significato la scelta dell’azione educativa che verrà compiuta. Anche la ricerca per individuare un antidoto al pregiudizio comporta per il ricercatore di assumere una qualsiasi prospettiva come propria. Ma potrebbe esserci il rischi che la stessa prospettiva da assumere per l’abbattimento del pregiudizio possa rivelarsi pregiudiziale e quindi rendere l’azione educativa inefficace. L’Educazione dovrà essere assunta sotto l’aspetto di due finalità: la prima la Libertà, la seconda il Dialogo Creativo, affinché, dove venisse a mancare l’obiettività, saranno proprio la liberta e dialogo creativo a restituire all’azione nuove ed ulteriori prospettive.
La natura, a volte, è causa di sofferenze e disperazione. Ma molto di più l’uomo quando a dolore sovrappone altro dolore, alla sofferenza ulteriore sofferenza e al limite altro limite. Eppure, lo stesso, ha il potere di lenire il dolore, calmare la sofferenza e ridurre il limite se, anche solo per un attimo, l’altro non è più l’altro, il diverso no è più diverso e l’handicap diventa di ognuno. Infatti vedere l’uomo di là dall’handicap significa vedere nell’handicap l’uomo, superare il limite che ognuno di noi ha, abile o disabile che sia.
Non essere in grado di vedere ciò, non vuol dire avere un difetto di natura, ma solo aver una distorsione o limitazione, per lo più imputabile all’educazione. Ritornando al pregiudizio è osservabile che qualora sia destrutturato, manifesta uno dei più terribili ed essenziali inganni della nostra ragione, ovvero la volontà di negare il limite intrinseco alla natura umana. Ma cosa significa Limite? Il termine limite deriva dal latino limes o limen, ed ha significati diversi quali ostacolo/confine e soglia/ingresso. Riuscire a vedere oltre l’handicap, abbattendo il muro del pregiudizio porta a scoprire grandi ricchezze di umanità e per l’umanità e, di conseguenza, stimola ad allargare i propri confini mentali, riuscendo a superare l’imbarazzo di guardare, rispondere al saluto, aprirsi al dialogo con un disabile e, inserirsi addirittura in un progetto sociale per sperimentare un modo diverso di vivere, basato nel dare un aiuto a chi ha qualche problema nel fare le cose semplici.
Non bastano né la cultura né lo studio per risolvere simili problemi, che sono più profondi dei livelli culturali e finiscono per diventare fatiche, che si trasformano in disistima, incapacità di porsi autenticamente dentro le relazioni, paura nell’affrontare l’esistenza. Credo che sia questo motivo, ciò che porta “consciamente” molti giovani incontro alla persona che nella propria fisicità porta il limite, per imparare, proprio attraverso la cura del disabile, a prendersi cura di se stessi in modo più profondo e autentico.