sabato 1 settembre 2007

Pregiudizio: cosa fare

Come scrive Elda Billi “credo che il pregiudizio si superi tramite la conoscenza diretta delle persone. Infatti una esperienza diretta con la disabilità abbatte le paure di chi non ci aveva mai avuto a che fare prima. In questo modo prende via un processo di “decondizionamento” che smobilita il pregiudizio, cioè il giudizio formulato prima della conoscenza”.

Non bastano infatti le cure farmaceutiche o riabilitative ad aiutare una persona, soprattutto quando il dolore viene dal cuore e dall'anima: indispensabile è l'affetto umano e il dialogo sincero. Il pregiudizio invece è un “peso”, come scrive Lascioli, ingiusto da sopportare per il soggetto passivo.

Il pregiudizio fa male.

Fa male alla persona che ne è vittima e a tutti coloro che le vivono intorno, poiché la sofferenza e l'astio nei confronti del mondo esterno trasudano dalla pelle, infilzano con lo sguardo e oltrepassano la cortina del silenzio. Possiamo giustificare il pregiudizio in mille modi, ricercandone le cause nella passata educazione e/o negli errori cognitivi. In realtà il pregiudizio si affaccia dai nostri sentimenti più profondi e se cerchiamo di combatterlo con la sola ragione, lui sarà sempre pronto a riaffiorare. Il pregiudizio va combattuto nel profondo della propria anima, attraverso una maturazione interiore e il superamento dei propri barbari istinti.

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Il pregiudizio

Il pregiudizio può essere definito come un'opinione che ci si forma senza prendere il tempo di valutare imparzialmente. E' un giudizio sommario, non per forza falso, ma privo di una solida base di informazioni, lontano da una vera e seria analisi, spesso influenzato dal sentire comune e dalle opinioni più diffuse, anche se prive di fondamento.

Il pregiudizio è una predisposizione che esiste in ognuno di noi, che varia a seconda del tipo di educazione che abbiamo ricevuto. Di fatto ci sentiamo più sicuri quando siamo in un gruppo che condivide le nostre abitudini, il nostro linguaggio, gli interessi, la cultura ecc. Gli altri (i diversi) sono degli estranei e in qualche caso una minaccia.

Il pregiudizio nasce come meccanismo difensivo all'inadeguatezza della risposta del soggetto ad una data situazione. Attraverso il pregiudizio si proiettano all'esterno gli elementi intolleranti del proprio dinamismo mentale, dando una giustificazione a sentimenti e atteggiamenti incapaci di trovare una giustificazione.

Il pregiudizio ha origine in genere all'interno del contesto famigliare ed è spesso associato ad un'atmosfera di rifiuto e di educazione molto rigida, di autoritarismo, nonché molto spesso legato a disturbi familiari; anche le esperienze quotidiane nella scuola, nel lavoro, nel campo degli affari possono acuire sentimenti negativi che non trovano conforto nell'affettività dei propri cari.

Il pregiudizio diventa dannoso quando lo si avvalla con convinzione: a questo punto il giudizio può dare luogo ad azioni ingiuste e vessatorie. Tanto più che la natura del pregiudizio è quella di essere confermato più che smentito.

Nei confronti dell'handicap vi è ancora molto pregiudizio, a partire dal suffisso dis- utilizzato nella nomenclatura che segnala la mancanza di un qualcosa, il difetto che ci si aspetta. Trasformare il pregiudizio in giudizio obiettivo e sincero è l'obiettivo dell'educazione sociale a partire dal presente per un futuro dignitoso per tutti.


venerdì 31 agosto 2007

Dal punto di vista pedagogico è l’azione educativa, priva di qualsiasi forma di pregiudizio, che provoca incremento di sviluppo umano. L’azione che produce educazione è molto complessa e lo specifico di essa va ricercata proprio nella stessa azione, nei gradi e tipi di coerenza, d’integrità e d’armonia fra tutte le condizioni necessarie allo sviluppo umano. Compito dell’educatore risulta essere l’instaurare il dialogo fra tutti coloro che sono coinvolti in questo processo d’innovazione umana. Lo specifico dell’azione che educa è il dialogo fra gli attori in quanto realizzano coerenza, armonia e integrità fra tutte le condizioni necessarie alla riduzione di asimmetria. Il problema del dialogo creativo è centrale e l’educazione speciale si serve della ricerca-azione a tutti i livelli proprio perché ha fra i suoi compiti quello di introdurre nella grande cultura anche la cultura del diversamente abile in ogni settore dell’esistenza.

ERRORI COGNITIVI CHE OSTACOLANO L’ASCOLTO E FAVORISCONO IL PREGIUDIZIO

Arginare i pregiudizi è fondamentale per entrare in una relazione autentica con l’altro. Un passo importante a tal fine è riconoscere la fonte o le fonti del pregiudizio.
Una di queste si può identificare con la tendenza ad operare distorsioni cognitive sulla realtà che viviamo, come ha messo in evidenza l’approccio cognitivo della psicologia.
Gli “errori cognitivi” o “bias” o “tunnel della mente” (Piattelli Palmarini) sono “le scorciatoie mentali che in determinate situazioni, ciascuno di noi adotta spontaneamente” e sono “simili a tanti filtri distorcenti usati per guardare una data situazione, con noi inconsapevoli di quanto stiamo facendo, a prescindere dal nostro grado di cultura”. Anche le nostre passate esperienze affettive ci portano a distorcere la realtà in modo inconsapevole.
Gli errori cognitivi più ricorrenti, quali le scelte incorniciate, la pigrizia mentale, l’effetto congiunzione, la disattenzione per le frequenze di base, il rapporto asimmetrico tra causa ed effetto, la confusione fra cause e probabilità, l’effetto certezza, la prudenza irrazionale, pregiudicano un buon rapporto con l’altro soprattutto se si tratta di una relazione educativa. Ma a questi se ne aggiungono altri che fortemente influenzano le nostre relazioni interpersonali. Si propone un elenco delle distorsioni cognitive più frequenti e diffuse, affiancate da una breve descrizione, con l’invito a riconoscere quelle che più caratterizzano il nostro modo di entrare in rapporto con l'altro.

La lettura del pensiero. Consiste nell'attribuzione all'altro di pensieri, sentimenti ed emozioni ipotizzati e vissuti come veri. La tendenza all'ipotesi porta a non mettere in pratica l’ascolto attivo, ma a fidarsi più di intuizioni personali, sensazioni vaghe, influenze di stati emotivi non riconosciuti e lascia liberamente in circolo l’azione delle proiezioni.

Lo svolgimento anticipatorio. Consiste nell'anticipare mentalmente la conversazione prevedendone le fasi, i passaggi, le dinamiche, gli scambi verbali. Questo procedimento finisce per funzionare come una profezia che si autoavvera e imprigiona l’interlocutore nei vincoli da lui stesso predisposti, inficiando le potenzialità di ascolto attivo.

La centratura esclusiva sul bisogno personale. Questa tendenza nel dialogo, nel migliore dei casi, porta l’individuo alla simulazione, a far finta di essere interessato all'altro, mentre in realtà sta seguendo esclusivamente le traiettorie dei suoi pensieri e delle sue necessità. E’ il caso in cui abbiamo bisogno di esprimere il nostro punto di vista, la nostra opinione e siamo centrati soltanto su ciò che vogliamo dire, su come vogliamo argomentarlo, ripetendoci tra noi e noi i punti salienti, da non scordare, fino al punto che non ci sarà spazio per ascoltare quello che l’altro sta dicendo, ma si potrà solo fingere di farlo.

Il filtro selettivo. E’ la tendenza a filtrare le informazioni, recependo solo alcune tra quelle presenti nella comunicazione e non altre. Questo atteggiamento permette di non alterare lo schema a cui siamo abituati (ad esempio, chi ha la tendenza al filtro negativo tende a escludere dalla sua visuale ogni elemento positivo, oppure usa il filtro per non mettere in dubbio eventuali stereotipi) o di evitare l’ascolto di elementi che risultano per noi pericolosi, spiacevoli, critici, oppure di ascoltare solo ciò che ci interessa e concentrarsi poi su altri aspetti mentre l’altro parla.

La lontananza immaginativa. Direttamente collegata con l’atteggiamento precedente, la lontananza immaginativa implica l’uso dell'immaginazione in termini non di coinvolgimento analogico (cfr. fantasie) e partecipato, ma di rifugio in una dimensione fantastica, innescata magari da un elemento del discorso del nostro interlocutore, nella quale indulgiamo e ci lasciamo portare, perdendo completamente di vista la comunicazione e il rapporto con l’altro, che nel frattempo sta continuando a parlare e ad esprimersi e a cui non accordiamo certo molta importanza o peso.

La confutazione sistematica. E’ la tendenza a opporsi per principio, esprimendo disaccordo e opinioni contrarie. Implica rigidità, difficoltà nella condivisione empatica, desiderio di affermazione e talvolta forti insicurezze. Varianti possono essere il sarcasmo e la tendenza all'umiliazione dell'altro. In alcuni casi si può sconfinare nella ricerca esasperata della ragione, con relative convinzioni indistruttibili e faticosi percorsi di dimostrazione.

L'ancoraggio e la difesa del ruolo. Consiste nell'impedirsi di essere se stessi per vari timori, ancorandosi agli aspetti esteriori e stereotipati dell'interazione, nel non entrare in gioco personalmente, ma solo attraverso lo status rassicurante del ruolo rivestito.

La conciliazione aprioristica. E la tendenza a voler piacere a tutti i costi; per questo si sceglie di conciliare, di essere gentili e cordiali in maniera stereotipata, senza essere veramente interessati e presenti all'ascolto dell'altro, ma proponendo soltanto formule abituali e usuali di disponibilità.

L'allontanamento. Frequentemente si manifesta cambiando argomento e serve per allontanare ciò che ci sta mettendo a disagio, oppure ci sta annoiando; in alcuni casi anche il ricorso allo scherzo e alle battute può essere funzionale a una presa di distanza. Questa tendenza impedisce l’ascolto dell'altro perché non siamo in grado di ascoltare noi stessi su determinate tematiche.

Il mascheramento. Con questa modalità si tende a inibire le proprie sensazioni e a manipolarle in modo che non traspariscano all'esterno. E’ un procedimento opposto all'autenticità. Appare spesso collegato a fenomeni di allontanamento e ostacola in ogni caso la comunicazione; nel caso sia inconsapevole non consente l’ascolto di sé, nel caso sia un procedimento consapevole altera l’autenticità dell'incontro comunicativo e probabilmente indurrà nell'altro posizioni difensive.

L'ipergeneralizzazione. E’ la tendenza a ragionare in termini assolutistici, mediante pronomi o avverbi come ad esempio "tutti", "nessuno", "sempre", "mai", che rivelano un'interpretazione del mondo arbitraria e rigida.
Nell'ascolto simili modalità portano soltanto difficoltà e pesantezza, coniugate con impossibilità di cogliere sfumature e articolazioni.

L'influenza di idee preconcette (pensiero automatico). E’ la distorsione delle parole dell'altro in funzione di convinzioni aprioristiche stratificate, che automaticamente si mettono in moto per alterare la percezione della comunicazione. Rientrano in questa categoria i pensieri automatici disfunzionali, come ad esempio certe convinzioni errate su noi stessi e la realtà, ciò che gli altri possono provare nei nostri confronti, certi convincimenti alterati, partendo dai quali non possiamo che realizzare un ascolto inesatto, limitato e inefficace.

L’uso delle etichette. Prevede l’abitudine a etichettare preventivamente per semplificare e inquadrare, limitando in realtà la possibilità di ascolto e di comprensione. Risulta connesso con la generalizzazione eccessiva.

La tendenza alla distrazione (concentrazione ridotta). Porta l’ascoltatore a utilizzare soltanto in una minima parte le sue potenzialità di ascolto, con ricadute dirette sulla qualità dell'ascolto realizzato. Inoltre, poiché la distrazione viene percepita anche dall'interlocutore, il pensiero che più frequentemente genera nell’altro è la sensazione di essere poco interessante, con relativi vissuti negativi e interferenze nella comunicazione stessa. La distrazione è spesso legata ad una concentrazione ridotta.

Il confronto. E’ la tendenza a parametrare con noi stessi tutto quello che l’altro dice o rappresenta, istituendo una perenne valutazione di confronto che ci allontana dall’altro in quanto tale e lo rende soltanto il parametro delle nostre conferme o disconferme. Gran parte dell’energia è diretta a verificare che siamo almeno in una posizione paritaria e il nostro impegno è assorbito dalla rassicurazione personale e lontanissimo dall’ascolto attivo e partecipato.

Il delirio di onnipotenza. E’ la mancata considerazione dei vincoli situazionali e congiunturali, che si accompagna a una fiducia sproporzionata nelle proprie abilità di ascolto. In relazione a condizioni fisiche di scarsa efficienza (per stanchezza, malattia ecc.), in situazioni non idonee (per rumori, disturbi continui, luoghi inadatti ecc.), l’ascoltatore deve essere consapevole dei limiti che queste condizioni pongono.

Il disinteresse. E’ uno dei rischi più insidiosi nell’ascolto, perché compromette sistematicamente anche la prova tecnicamente più attenta. La mancanza di interesse è un ostacolo con cui confrontarsi onestamente nelle pratiche di ascolto attivo.

La direttività. Avere ben chiaro dove è importante condurre l’altro, attraverso quali strade e percorsi, e sapere con certezza quello che deve fare è una modalità che sottolinea l’asimmetria della comunicazione e impedisce all'altro di essere ciò che pienamente è e di esprimerlo, concedendogli soltanto la possibilità di conformarsi a ciò che abbiamo stabilito per lui o, al contrario, condannandolo a una condizione di relativa non accettazione nel caso si discosti dai nostri progetti.

L'identificazione. Si tratta della tendenza per cui non è possibile interessarsi realmente all'altro, in quanto ci serve soltanto per fornirci l’occasione di identificarsi in lui. E così che anche le sue parole e la sua comunicazione sono utilizzate per questo scopo, più o meno consapevole.

Lo spostamento. Consiste in uno sbocco alternativo del pensiero e dell'emozione, che priva la comunicazione della sua istanza reale e autentica e la connota soltanto in termini di manipolazione e alterazione.

I pensieri disfunzionali. Mentre si sta realizzando l’ascolto dell'altro, operazione che richiede tranquillità e fiducia in se stessi, lo spazio concesso ai pensieri disfunzionali che minano la sicurezza e l’autostima, la convinzione di non riuscire nel compito, non può che risultare un grave ostacolo, poiché può generare “ansia da prestazione”.

II pensiero dicotomico. Prevede L’inquadramento di eventi e persone in categorie dicotomiche, ad esempio bianco e nero. Risulta connesso con l’ipergeneralizzazione e l’uso di etichette. Una cosa o appare in un modo o è l’esatto contrario, non sono ammesse sfumature e gradazioni.

Il pensiero binoculare. Consiste in una percezione della realtà che tende a sopravvalutare ciò che ci riguarda (siano pregi o difetti) e a minimizzare quegli stessi aspetti negli altri. In genere, si usa questa dizione quando si sopravvalutano i nostri difetti o errori mentre li si ridimensionano negli altri.

PENSIERI VOLANTI 6

"Non a colpi di clava né di pietra
Si spezza il cuore;
Una frusta invisibile
Conobbi io,
E staffilò la magica creaturaFino a che cadde."

E. Dickinson “Poesie”

PENSIERI VOLANTI 5

"Altri hanno piantato ciò che mangiamo. Noi piantiamo ciò che altri mangeranno"

(Antico proverbio persiano)

PREGIUDIZIO E ASCOLTO


Non si può educare senza capacità di ascolto. I pregiudizi costituiscono un vero e proprio “handicap” nell’ascolto. Possiamo parlare di handicap del pregiudizio più che di pregiudizio nei confronti dell’handicap!
La nostra cultura è fatta di gente che preferisce parlare piuttosto che ascoltare. Siamo pronti a dare consigli, “giudizi”, informazioni…. Ma la gente ha bisogno di “orecchie attente e di una lingua muta”, la gente ha bisogno di essere ascoltata e compresa. “Non ascoltare è mancanza di rispetto della persona e di un servizio di amore disinteressato”.
Ma quale ascolto? Ci sembra di essere attenti e ci sembra di ascoltare, ma a volte “ascoltiamo per ascoltare”, ciò si verifica quando non siamo interessati alla persona e ai suoi bisogni, oppure quando siamo stanchi o siamo centrati su noi stessi, oppure “ascoltiamo per rispondere”, ed è ciò che noi facciamo continuamente. Ascoltiamo a metà ciò che l’altro dice perché siamo impegnati a pensare a come dobbiamo rispondere. Perché? Tutti noi abbiamo bisogno degli altri per definire noi stessi ma nello stesso tempo abbiamo paura che la definizione che gli altri ci rimandano possa disconfermare l’immagine che abbiamo di noi. Questa situazione generatrice di ansia induce la messa in atto di meccanismi di difesa nei confronti dell’altro, per cui nelle relazioni interpersonali tendiamo a selezionare solo le informazioni che non costituiscono una minaccia.
Il pregiudizio caratterizza una persona che vive "per proteggere i propri sentimenti e la propria reputazione". Il falso concetto che si ha dell'altro non è che un difendere se stessi, ciò che si crede, che è diventato rifugio delle nostre insicurezze, paure e frustrazioni. Creare scompiglio nell'alveare (emozioni) altrui, con la denuncia di ciò che si presume che sia sbagliato o no, significa evitare di trovarsi nel proprio alveare scompigliati dal riaffiorare delle nostre paure e insicurezze.
Anche a scuola, come in altri contesti, accade che i pregiudizi agiscano in senso contrario rispetto a quelli che sono gli obiettivi educativi. Spesso pensiamo che l’alunno “più di così non può fare” e questo preconcetto ha influenza sulla percezione che l’allievo ha di sé e si convince che è effettivamente un incapace e quindi non si adopera ai fini dell’apprendimento. I pensieri si riflettono sul nostro comportamento e sulla scelte delle parole che usiamo nelle nostre comunicazioni.
Le persone hanno bisogno di sentirsi apprezzate, stimate, e l’ascolto è il mezzo più appropriato, se noi vogliamo trasmettere senso di sicurezza, dobbiamo ascoltare con empatia, soprattutto le persone che soffrono. Saper ascoltare è più difficile di quanto si creda.

Mamma, tu mi DEVI ascoltare, perché se non mi ascolti tu, quando sarò grande non mi ascolterà nessuno!” (Silvia, 7 anni, alla mamma)

martedì 28 agosto 2007

Pensieri volanti 4

Un'idea giusta nella quale ci si insedia, al riparo delle contraddizioni, come al riparo dal vento e dalla pioggia, per guardare gli altri uomini scalpicciare nella melma, non è più un'idea giusta, è un pregiudizio. (Georges Bernanos)

link utile

Segnalo una pagina molto interessante dedicata alla tesi di laurea di Elda Billi, una ragazza di Arezzo, che ha pubblicato “Pregiudizio e Strategie Educative” in cui affronta il tema del pregiudizio nei confronti della diversità in generale e della disabilità in particolare.

http://superando.eosservice.com/content/view/1509/120/